venerdì 5 febbraio 2010

Cultura - 'Bobbio, maestro del dialogo', Ciampi ricorda il grande filosofo torinese

Su 'La Stampa' di oggi è stato pubblicato l'intervento scritto per il nuovo numero di 'Micromega' interamente dedicato alla figura di Norberto Bobbio per ricordarne l'attività editorialistica in collaborazione con la rivista diretta da Paolo Flores D'Arcais. Essendo la figura di Bobbio tra le più autorevoli del pensiero filosofico e politologico moderno e ritrovando nelle parole dell'ex Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi il giusto tributo, pubblichiamo l'articolo apparso oggi sul quotidiano torinese.  


di Carlo Azeglio Ciampi*

Ho conosciuto Norberto Bobbio tardi, quando entrambi avevamo da un pezzo superato l’età cosiddetta della pensione, anche se né lui, né io ci trovavamo a vivere la condizione di pensionati.

Il tempo, purtroppo, ha spento le ultime voci di coloro che con Bobbio hanno condiviso non solo gli ideali, ma un lungo tratto di vita, fatto anche e soprattutto di legami di amicizia; di una consuetudine e una frequentazione assidue. Penso innanzitutto a Sandro Galante Garrone, Giorgio Agosti, Vittorio Foa, ma anche a Massimo Mila, Leone Ginzburg, Nuto Revelli. Quella società di amici che Bobbio considerava «la società etica per eccellenza, fondata su regole non scritte, cui si obbedisce spontaneamente, non per timore di una qualsiasi sanzione».
Non ho potuto visitare la mostra che Torino dedica a Bobbio; ma il volume che l’accompagna e le fa da guida, curato con affetto filiale da Paola Agosti e Marco Revelli, mi ha permesso di «immergermi» in uno straordinario percorso, un crocevia della storia, dove un gruppo di giovani si ritrova per caso e prende a camminare insieme. Ragazzi seduti sui banchi dello stesso liceo, dove apprendevano da Arturo Segre, Zino Zini, Umberto Cosmo «la pratica della libertà». Una Bildung che condusse non pochi di loro a sperimentare l’«ospitalità» delle patrie galere. Quel «catalogo» racconta un pezzo della nostra storia, politica, civile, culturale. Un pezzo di storia di cui siamo fieri, alla quale ci capita di guardare con stupore per l’incredibile, mirabile concentrazione di intelligenza, di passione, di alte idealità; con malinconia, quando lo sguardo torna a posarsi sulla povertà del presente.
Ho conosciuto Norberto Bobbio tardi, quando entrambi avevamo da un pezzo superato l’età cosiddetta della pensione, anche se né lui, né io ci trovavamo a vivere la condizione di pensionati. L’incontro diretto, personale seguiva a distanza di anni quello «ideale», che per quanto mi riguarda era avvenuto molto tempo prima, addirittura negli anni giovanili, per il tramite del mio maestro, Guido Calogero. In Calogero, solo di pochi anni più anziano, Bobbio riconosce a sua volta un maestro. È Bobbio stesso a ricordarlo, a proposito di un disegno di Guttuso che lo ritrae insieme con Calogero, Aldo Capitini, Umberto Morra e Cesare Luporini, in una delle riunioni del movimento liberalsocialista. Al movimento animato da Calogero e Capitini, il giovane Bobbio si era accostato attratto da questo «maestro del dialogo» che sosteneva la «necessità di non sognare l'impossibile, ma nello stesso tempo di attuare tutto il realizzabile» e progettava una società in cui libertà e giustizia non fossero in antitesi, piuttosto, complementari. Era il 1939, l’anno dell’ingresso di Bobbio nell’antifascismo attivo. La lezione di Calogero fu fatta propria da Norberto Bobbio, che divenne egli stesso un «maestro del dialogo» e tale rimase sempre. Dopo la guerra la vita mi condusse verso scelte professionali che mi allontanavano dal mondo degli studi umanistici e dai robusti interessi filosofici degli anni giovanili: facevo ingresso in un mondo lontano da quello dei Calogero e dei Bobbio. Con Calogero rimase il legame dell’amicizia, la devozione per l’antico maestro. Con Bobbio coltivavo un legame virtuale, attraverso i suoi scritti, certamente non l’opera scientifica, ma quelli destinati a un pubblico più ampio. Credo di poter dire di non aver perso neanche uno dei suoi articoli sulla Stampa, così come ricordo con quale avidità intellettuale mi accostai alla lettura di Politica e cultura, più tardi di Quale socialismo? e di Il futuro della democrazia. Gli impegni professionali assorbivano interamente le mie giornate, eppure quelle letture riuscivano sempre a trovarvi spazio. Si offrivano alla mia riflessione di uomo e di cittadino; fornivano elementi di confronto e di discussione con amici e collaboratori. Erano infatti riflessioni meno estranee di quanto si possa pensare al mio ufficio di banchiere centrale, alla mia condizione di servitore delle istituzioni; direi, anzi, che ne erano l’indispensabile cornice. Definivano il più ampio perimetro all’interno del quale andava dispiegata l’azione di governo della moneta e, più in generale, dell'economia. Quelle letture sono sedimentate nella mia coscienza. Avrei voluto poterne parlare con l’autore quando finalmente ne feci la personale conoscenza. Questo avvenne l’11 luglio del 1999. In occasione di un viaggio a Torino chiesi di poterlo andare a salutare a casa sua. Da allora non mancai mai di farlo ogni volta che i miei impegni mi portavano a Torino. Avrei voluto riprendere con Bobbio lo stesso lungo, intenso dialogo intrattenuto con Calogero nel freddo inverno del 1943 sulle montagne abruzzesi.
Ma la stagione della maieutica era tramontata; altri impegni reclamavano il mio tempo. Oggi il dialogo con Norberto Bobbio prosegue interrogando l’opera sua; confrontandosi con le testimonianze numerose del suo impegno militante per la libertà, la democrazia, l'uguaglianza, l'etica pubblica. In questo spirito mi è capitato di rileggere recentemente Il futuro della democrazia, sollecitato anche dalle voci preoccupate che di tanto in tanto si levano circa le sorti del sistema democratico. D’altra parte, osserva Bobbio, «la democrazia è diventata in questi anni il comune denominatore di tutte le questioni politicamente rilevanti, teoriche e pratiche». Per decifrare il nostro difficile e agitato presente traggo da quello scritto qualche passaggio illuminante, che consegno, a mo' di conclusione, alla riflessione del lettore che s’interroga sulle trasformazioni della democrazia, nel nostro paese, e non solo. Trasformazioni «sotto forma di promesse non mantenute» o «di divario fra democrazia ideale qual era stata concepita dai nostri padri fondatori e democrazia reale quale ci accade di vivere, con maggiore o minore partecipazione, quotidianamente».
Le promesse non mantenute, precisa Bobbio, sono «la sopravvivenza del potere invisibile, la permanenza delle oligarchie, la soppressione dei corpi intermedi, la rivincita della rappresentanza degli interessi, la partecipazione interrotta, il cittadino non educato». Alcune di queste, prosegue con lucido realismo, più che promesse erano «speranze mal riposte», di talché «sono tutte situazioni per cui non si può parlare propriamente di degenerazione della democrazia, ma si deve parlare piuttosto del naturale adattamento dei princìpi astratti alla realtà… Tutte, tranne una: la sopravvivenza (e la robusta consistenza) di un potere invisibile, come accade nel nostro Paese, accanto o sotto (o addirittura sopra) il potere visibile. Si può definire la democrazia nei modi più diversi, ma non vi è definizione che possa fare a meno d’includere nei suoi connotati la visibilità o trasparenza del potere».

(*) articolo pubblicato su La Stampa (oggi, venerdì 5 febbraio 2010, anno 144, n.35), tratto dal nuovo numero monografico di 'Micromega' dedicato a Norberto Bobbio (collaboratore per circa 15 anni della rivista diretta da Paolo Flores D'Arcais ).

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