venerdì 1 gennaio 2010

Cinema - Moon, il primo film diretto dal figlio di David Bowie


Recensione a cura di Filippo Benedetto

Moon
Anno: 2009
Regia: Duncan Jones
Liberty Films UK, Lunar Industries, Xingu Films
Durata: 97 min.
genere: fantascienza
distribuzione italiana: Sony Pictures



'C'era una volta il bel cinema di fantascienza...'
Non potrebbe che cominciare così l'ideale recensione cinematografica per quest'opera prima, firmata dal giovane Duncan Jones, dal titolo 'Moon'. Uscito nelle sale lo scorso anno e disponibile dal 16 novembre in Dvd, questo lungometraggio offre un eloquente saggio di come si possa fare cinema di qualità con pochi mezzi economici (soltanto, si fa per dire, 5 milioni di dollari) e tante idee usate con intelligenza e originalità.

L'intelligenza del regista sta nell'aver riportato il genere fantascientifico al suo charma originale, ovvero quello metafisico e filosofico. L'originalità nel saper riaggiornare, senza scadere nella fotocopia o nella farsa, i 'miti' del genere filmico: da 2001 odissea nello spazio, a Blade Runner, per citare i primi che probabilmente verrebbero in mente vedendo 'Moon'.
Ma chi è Duncan Jones? Udite, udite: il figlio di David Bowie. Il suo nome vero è Duncan Zowie Haywood Jones, ha una laurea in filosofia (e già si spiega l'amore per il cinema di fantascienza più colto e profondo) e con un corto alle spalle.
La storia di Moon, così lineare e profonda nei sentimenti che provoca, sarebbe potuta essere partorita da una mente geniale della soggettistica e della narrativa fantascientifica: Artur Clarke. In effetti, la storia di Sam  - un astronauta che vive da tre anni su una spaziale sulla Luna in piena solitudine - per l'ambientazione in cui si svolge, così claustrofobica e al limite dell'asettico, ripropone in maniera chiara e lampante uno dei temi cari della letteratura di genere: la solitudine umana di fronte all'universo o all'infinito oltre noi. Se vogliamo è anche una metafora, molto concreta, sulla solitudine umana in un mondo iper autonomizzato, dove macchine e uomini interagiscono fino ad un punto di rottura, quando le macchine prendono coscienza di se e prendono il sopravvendo su di noi. Ma forse l'intento di Duncan non è la denuncia del rapporto uomo-macchina, e non è neanche quello di una pura trasposizione della bellezza evocativa delle scenografie del suo film (anche se a onor del vero bisogna sottolinearne proprio l'effettiva bellezza e accuratezza, merito risaltato da una fotografia di gran qualità). La bravura di Duncan, in 'Moon', sta nel gioco di metafore che mette in scena lungo i 97 minuti di questa pellicola. E questo è forse il più bel complimento che si può fare, sotto il profilo stilistico, a Jones; tanto bello che l'accostamento, in qualità di figlio legittimo, di filmografie 'classiche' (direi leggendarie) di kubrikiana memoria non risulterebbero affatto scomode o fuoriluogo.
La narrativa del film non la approfondisco volutamente. Questo è un film che in qualche modo riprende la filosofia di fondo del filone 'concettuale'. Per cui correte a noleggiarlo, e gustatevelo questo 'Moon'. Non rimarrete delusi.

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