lunedì 28 dicembre 2009

Cinema - Gli abbracci spezzati di Almodovar



Recensione a cura di Filippo Benedetto

Gli abbracci spezzati
Regia: Pèdro Almodovar
Con: Penelope Cruz, Lluís Homar, Blanca Portillo,
        José Luis  Gómez,  Rubén Ochandiano
Genere: Drammatico
Durata: 129 min.
data uscita: venerdì 13 novembre 2009



Ancora una volta Almodovar stupisce con un nuovo film corale, struggente e intelligentemente strutturato. Questa volta lo sguardo del regista spagnolo si sofferma con maggior approfondimento sui temi legati alla solitudine esistenziale.
Il protagonista di questo nuovo film è Mateo Bianco: un uomo con un passato da regista che ha deciso di tagliare i ponti con il suo mestiere, e per fare questo è arrivato a mascherarsi dietro un falso nome, per firmare sceneggiature, romanzi, o soggetti. Il suo nuovo nome è Harry Caine e la sua nuova dimensione di vita lo vede preda delle affettuose attenzioni della fidata assistente Judit e dell'amore di suo figlio Diego. E sarà proprio al giovane figlio che Mateo - alias Harry - racconterà del torbido e tragico menàge a trois che lo ha visto coinvolto assieme ad un ricco uomo di nome Ernesto Martel e ad una bella e affascinante donna di nome Lena.
Il racconto diventa quasi una confessione appassionata sul passato che ancora perseguita Mateo che, tra l'altro ceco, descrive con incredibile precisione la scansione di eventi cui ha partecipato.
Almodovar con 'Gli abbracci spezzati' torna a giocare di metafora, usando la cecità del protagonista come metafora della prigionia in cui ci può tenere relegati un passato scomodo o da elaborare ancora.
Ed è forse lo stesso artificio che hanno usato molti altri grandi registi degli ultimi 50 anni almeno. E questo, tutto sommato, fa piacere ed è un sollievo. In tempi nei quali molti spettatori sembrano preferire la frivolezza un po' instupidita del 'cinepanettone', film come 'Gli abbracci spezzati' ci consolano sulla pervicace volontà di pochi registi di fare cinema 'vivo' ed emozionante. Almodovar è uno dei questi.
Lietta Tornabuoni, su La Stampa, recensendolo ha scritto: "questo film non somiglia affatto ai primi film farseschi che lo hanno reso tanto amato e popolare in Europa. È invece tenero, dolce: l'ironia si esercita sul genere, non sulle emozioni dei personaggi, e il cambiamento non rende il film meno amorevole." Condivido in pieno.

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