Si è spento ieri, all'età di 81 anni, Alberto Ronchey: mito del giornalismo e della cultura italiana. E' stato Ministro dei beni culturali nei governi Ciampi e Amato e a lui si devono il conio dei termini 'fattore K' e 'lottizzazione'. Messaggi di cordoglio dal mondo politico, culturale e giornalistico italiano.
Ieri è morto un altro grande del giornalismo italiano. Aveva 81 anni. Erano parecchi anni, almeno per chi scrive questo articolo, che non si sentiva o leggeva qualcosa su Alberto Ronchey. Neanche, a dir la verità, su 'La Stampa', giornale che sotto la sua direzione ha conosciuto un era di brillante giornalismo e un rinnovato modo di costruire il quotidiano che ne ha accresciuto l'autorevolezza. Ecco, con Ronchey muore un'altro grande mito di un giornalismo nobile, attento alla verità, e soprattutto aperto alle novità. La sua carriera giornalistica lo ha visto come autorevole editorialista sul Corriere della Sera, su Repubblica, L'Espresso e Panorama.
Montanelli di lui scrisse che il mondo del giornalismo, ma anche quello della cultura italiana deve molto a Ronchey: [...]alcuni dei migliori saggi apparsi negli ultimi trenta o quarant'anni nella carta stampata, non soltanto italiana, di politica, economia, sociologia (quella vera): frutto di lunghi soggiorni in tutti i paesi d'Europa, in America, in Cina, in Giappone, d'indagini da 007 nelle loro viscere, di attente e vaste letture".
Ma non è stato soltanto un grande giornalista, un brillante direttore, nonchè uomo di cultura: Ronchey è stato anche Ministro dei beni culturali in una delle fasi più delicate e complicate degli ultimi anni di storia repubblicana e cioè gli anni a cavallo tra i 1992 e il 1994 (Governi Ciampi e Amato). In quella parentesi istituzionale fu partorita la 'legge Ronchey' concernente la gestione dei servizi aggiuntivi negli Istituti d'Arte e Antichità dello Stato, tanto per confermare la grande attenzione del giornalista e scrittore per la valorizzazione e preservazione della cultura italiana. In seguito è stato presidente della Fondazione Rizzoli, del gruppo editoria Corriere della Sera.
Non sono mancate, nella sua lunga e prolifica attività professionale, incursioni nel mondo televisivo con la partecipazione ad alcuni programmi Rai.
Ha scritto numerosi saggi, tra i quali possiamo citare alcuni tra i più interessanti: : La Russia del disgelo (1963) ; Libro bianco sull'ultima generazione (1978); Giornale contro (1985); I limiti del capitalismo (1991); Fin di secolo in fax minore (1995).
Il mondo del giornalismo perde un purosangue del mestiere, un maestro sotto la cui direzione a La Stampa ha visto crescere una 'squadra' di giornalisti che hanno fatto del quotidiano di Torino un giornale di tutto rispetto nel panorama editoriale ed informativo italiano, per citarne alcuni: Jemolo, Piovene, Gorresio, Mila, Firpo, Galante Garrone, Salvatorelli, Abbagnano, Passerin d’Entrèves. Ed è grazie a Ronchey che La Stampa ospitò nelle sue pagine culturali scrittori di grido come Arpino, Ceronetti, Natalia Ginzburg, Fruttero e Lucentini. Il respiro europeo del quotidiano venne assicurato con l'arruolamento dei giornalisti inviati Arrigo Levi, Andrea Barbato, Lietta Tornabuoni, Gianfranco Piazzesi, Paolo Garimberti, Giampaolo Pansa e Vittorio Zucconi. Frutto di questa precisa volontà di far respirare al giornale un'aria più europea è l'edizione dell'inserto periodico «Europa», in collaborazione con «The Times», «Le Monde», «Die Welt».
Montanelli di lui scrisse che il mondo del giornalismo, ma anche quello della cultura italiana deve molto a Ronchey: [...]alcuni dei migliori saggi apparsi negli ultimi trenta o quarant'anni nella carta stampata, non soltanto italiana, di politica, economia, sociologia (quella vera): frutto di lunghi soggiorni in tutti i paesi d'Europa, in America, in Cina, in Giappone, d'indagini da 007 nelle loro viscere, di attente e vaste letture".
Ma non è stato soltanto un grande giornalista, un brillante direttore, nonchè uomo di cultura: Ronchey è stato anche Ministro dei beni culturali in una delle fasi più delicate e complicate degli ultimi anni di storia repubblicana e cioè gli anni a cavallo tra i 1992 e il 1994 (Governi Ciampi e Amato). In quella parentesi istituzionale fu partorita la 'legge Ronchey' concernente la gestione dei servizi aggiuntivi negli Istituti d'Arte e Antichità dello Stato, tanto per confermare la grande attenzione del giornalista e scrittore per la valorizzazione e preservazione della cultura italiana. In seguito è stato presidente della Fondazione Rizzoli, del gruppo editoria Corriere della Sera.
Non sono mancate, nella sua lunga e prolifica attività professionale, incursioni nel mondo televisivo con la partecipazione ad alcuni programmi Rai.
Ha scritto numerosi saggi, tra i quali possiamo citare alcuni tra i più interessanti: : La Russia del disgelo (1963) ; Libro bianco sull'ultima generazione (1978); Giornale contro (1985); I limiti del capitalismo (1991); Fin di secolo in fax minore (1995).
Il mondo del giornalismo perde un purosangue del mestiere, un maestro sotto la cui direzione a La Stampa ha visto crescere una 'squadra' di giornalisti che hanno fatto del quotidiano di Torino un giornale di tutto rispetto nel panorama editoriale ed informativo italiano, per citarne alcuni: Jemolo, Piovene, Gorresio, Mila, Firpo, Galante Garrone, Salvatorelli, Abbagnano, Passerin d’Entrèves. Ed è grazie a Ronchey che La Stampa ospitò nelle sue pagine culturali scrittori di grido come Arpino, Ceronetti, Natalia Ginzburg, Fruttero e Lucentini. Il respiro europeo del quotidiano venne assicurato con l'arruolamento dei giornalisti inviati Arrigo Levi, Andrea Barbato, Lietta Tornabuoni, Gianfranco Piazzesi, Paolo Garimberti, Giampaolo Pansa e Vittorio Zucconi. Frutto di questa precisa volontà di far respirare al giornale un'aria più europea è l'edizione dell'inserto periodico «Europa», in collaborazione con «The Times», «Le Monde», «Die Welt».
Nessun commento:
Posta un commento